GIOIA E GRATITUDINE PER LA CHIESA
DEL KENYA
CENNI BIOGRAFICI
LA BIOGRAFIA DI SUOR IRENE È DI UNA SEMPLICITÀ
SCONCERTANTE. Il 22 agosto 1891, di
sabato, quinta di 12 figli, nasce ad Anfo, un paesino del bresciano sulle
sponde del lago d’Idro. Battezzata il giorno dopo, è educata alla fede da
genitori ferventi cattolici. Una volta cresciuta, diventa zelatrice
dell’Apostolato della preghiera e insegna catechismo in parrocchia.
Nel 1905 padre
Angelo Bellani, missionario della Consolata, visita Anfo prima della sua
partenza per la missione del Kenya. Tra le ascoltatrici attente c’è anche la
nostra, quattordicenne, che aveva già manifestato il desiderio di farsi
missionaria.
Nel 1907 le muore improvvisamente la mamma,
Annunziata. Nel 1909 il padre si risposa e Mercede si trova bene con Teresa, la
nuova mamma. Memore dell’incontro con
padre Bellani, alla notizia che a Torino sono nate le suore missionarie della
Consolata, Mercede chiede al padre
il permesso di farsi missionaria. Vinte le sue resistenze con l’aiuto del
parroco, don Capitanio, il 19 giugno 1911, ventenne, parte per Torino. Veste
l’abito da suora e prende il nuovo nome di «Irene» nel 1912; conclusi i due
anni noviziato nel gennaio 1914, si dedica poi alla preparazione per l’Africa e
lo studio delle lingue. Il 28 dicembre
parte per il Kenya e il 31 gennaio 1915 arriva a Mombasa, dove, salutando la
sua nuova terra, esclama «Tokumye Yesu Kristo!», ovvero «Sia lodato Gesù
Cristo!», l’unica frase, per il momento, che conosce in lingua kikuyu.
Appena il tempo di inserirsi e di imparare la lingua
locale ed è inviata con altri missionari
e missionarie negli ospedali militari dove si curano i carriers, i portatori a
servizio dell’armata inglese in guerra con i tedeschi che controllano il
Tanganika. Prima a Voi, in Kenya, e poi a Kilwa Kivinje, Lindi e
Dar-es-Salaam in Tanzania, per quattro
anni (1915-1919) Irene si spende come crocerossina (insieme a quarantacinque
altri missionari e missionarie della Consolata e Vincenzine del Cottolengo) in
quelle anticamere della morte dove venivano curati migliaia di giovani africani
arruolati a forza.
Nel 1920 la
troviamo a Gekondi, nella regione centrale del Kenya, dove si butta
nell’insegnamento nella scuola per ragazze e nella visita ai villaggi.
Infaticabile e scattante, visita i malati, consola i morenti, recupera i
bambini abbandonati, convince i genitori a lasciare che le loro figlie vadano a
scuola, segue un gruppo di ragazze desiderose di consacrare la vita a Gesù, e
tanto di più. La gente comincia a chiamarla «NYAATHA» (MAMMA
MISERICORDIOSA).
Nel settembre 1930, dopo l’annuale settimana di
preghiera e ritiro a Nyeri, chiede alla
sua superiora il permesso di offrire la sua vita per la missione. Nel frattempo a Gekondi scoppia la peste.
Suor Irene ne è contagiata assistendo un ammalato. Muore il 31
ottobre 1930, a 39 anni. Sepolta prima
nel cimitero dei missionari al Mathari, alla periferia di Nyeri, è stata poi
posta in un’urna di marmo rossastro nella chiesa della parrocchia del Mathari
stesso. Dopo la beatificazione sarà trasferita nella cattedrale di Nyeri,
dedicata alla Consolata.( G.A.)
IL MIRACOLO
ATTRIBUITO ALLA INTERCESSIONE DI SUOR IRENE. Si tratta della
moltiplicazione dell’acqua del fonte battesimale della chiesa parrocchiale di
Nipepe (Diocesi di Lichinga, Niassa, Mozambico), di cui si servirono i
catechisti di varie parrocchie della diocesi, riuniti per un corso
formativo assieme al Parroco, P.
Giuseppe Frizzi IMC, e rimasti segregati nella chiesa di Nipepe, nella quale
accorsero anche persone del paese, a causa della belligeranza tra le due
fazioni Frelimo e Renamo, che seminavano devastazione e morte. Si tratta di circa 260 persone, inclusi
molti bambini che scorrazzavano nella chiesa nel periodo più caldo dell’anno,
gennaio 1989. Fu invocata Suor Irene
e si ebbe acqua sufficiente per tutti i rifugiati in chiesa per tre giorni e
mezzo, e non solo per bere, ma pure per rinfrescarsi dal sudore e anche per
lavare una bambina nata in quella circostanza e chiamata Irene. Non vi era
nessun’altra possibilità di fornirsi di acqua e il catechista Bernardo diede il
permesso di servirsi di quella del fonte battesimale, che essi, dicono gli
interessati, non avrebbero mai avuto l’ardire di toccare. Si tratta di un fonte
battesimale scavato in un tronco di albero, con numerose crepe, per cui perdeva
molta acqua. Alla fine della segregazione, il responsabile della parrocchia, P.
Frizzi, si accorse che il pavimento attorno al battistero era molto bagnato.
Stupito, fu informato dalla gente di
quanto era avvenuto. I tecnici hanno valutato che all’inizio della prigionia
non dovevano esserci più di quattro, al massimo sei, litri di acqua nel tronco
scavato. Suor Irene, e solo lei venne invocata ogni giorno per la salvezza
dei catechisti. I testimoni presenti
continuano a ripetete, in vari modi: “Per intercessione di Suor Irene siamo
salvi”, “Lei ci ha ascoltato e aiutato”; “è stata madre Irene a fare il
miracolo”, e così via.
“Le beatificazione ci stimola a raccogliere
l’eredità di suor Irene, fatta di semplicità evangelica e passione missionaria,
di misericordia, di autenticità di vita, di capacità di comprendere e toccare
il cuore dell’altro” ha scritto suor Simona Brambilla, Superiora generale delle
Missionarie della Consolata.